IDEE E PENSIERI POLITICI DI LIBERTÀ
Massimo Severo Orlandi, esperto e studioso di diritto costituzionale, propone in un’intervista alcuni spunti di riflessione per la comprensione del nostro tempo esplorando l’evoluzione dei sistemi politici attraverso i grandi mutamenti socioculturali, nel segno di un’innata sensibilità liberale, federalista e personalista che, sopra ogni cosa, ama gli uomini e le civiltà.
SUL TEMA DELLO STRANIERO, SUL RELATIVISMO E SUL SENSO DI COLPA DELL’OCCIDENTE
Intervista a Federica Epis, segretario cittadino della Lega Nord di Orzinuovi
A cura di Massimo Severo Orlandi
Cara Federica, in questo nostro secondo colloquio vorrei parlare di un tema di forte impatto emotivo per il cittadino contemporaneo, quello dello straniero. Inizio subito chiedendoti cosa ne pensi, soprattutto considerate le proporzioni dell’immigrazione che oggettivamente sono notevoli.
Domanda complessa… Per mia fortuna posso provare a rispondere in modo poco scontato, visto che spesso ho riflettuto sul significato che può avere per l’essere umano entrare in contatto con “il diverso”. E l’ho fatto, come tutti noi, perchè ciò che è altro e differente da me l’ho incontrato, l’ho sperimentato, a volte soprattutto l’ho ricercato e anche molto apprezzato.
Scusa se ti interrompo subito. Stai evidenziando che non sei “contro” gli stranieri e che ne ami le culture. Non c’è qualcosa che stride rispetto al tuo essere leghista?
Sicuramente questo stride con lo stereotipo del leghista imposto dalla propaganda nazionale, non certo con i leghisti in carne ed ossa per come li conosco da sempre. Anzi, se posso fare un piccolo appunto, generalmente noi leghisti abbiamo una certa predisposizione ad amare quei popoli lontani con cui sentiamo di condividere una qualche forma di oppressione. Così la vena esterofila si riflette nel celtismo europeista di alcuni, nell’indipendentismo scozzese, irlandese o tibetano di altri e via dicendo.
In questo senso c’è molta coerenza, ma allora quale problema crea lo straniero?
Come ho detto vorrei evitare di rispondere in modo scontato, quindi non mi metto a enumerare gli immensi e ingovernabili problemi di ordine economico e sociale causati dalla volontà di trasferire masse di persone da un posto all’altro del globo, nella fattispecie dall’Africa all’Italia. Ciò che rileva, se vogliamo scavare in profondità, è una questione di mentalità e mi spiego subito meglio: esistono a mio modo di vedere due atteggiamenti di fondo rispetto all’esperienza del diverso, quindi anche dell’immigrato. Un primo approccio è quello dei cosiddetti multiculturalisti. Esso ci rivela un uomo in crisi di identità, che vive un certo senso di inferiorità rispetto all’altro, una sorta di senso di colpa verso il più povero. Il multiculturalista avverte la necessità di riscattare questo senso di colpa e lo fa annullandosi di fronte alle esigenze (o supposte tali) dell’altro, ma così finisce per soccombere col sorriso. Lo sperimentiamo ogni giorno quando incontriamo persone – poche per fortuna, per quanto potenti – che sono disposte a sacrificare la sicurezza dei cittadini, l’ordine sociale, lo stato di diritto, le casse pubbliche e la stessa civiltà sull’altare della cosiddetta accoglienza.
Puoi dirmi secondo te a cosa è dovuto questo senso di colpa?
È un senso di colpa che ha le sue radici nella storia occidentale e segnatamente europea del Novecento, che ci ha visti partecipi di un percorso di decolonizzazione che ha lasciato non pochi strascichi sui territori ex-occupati. Anche se personalmente opterei per un ridimensionamento delle “colpe” dell’Occidente nei confronti del Terzo Mondo, è innegabile che le potenze occidentali abbiano a lungo tenuto salde le redini della storia determinandone gli esiti contraddittori per i Paesi oggi in via di sviluppo. Da qui sono scaturite una storiografia e una propaganda del senso di colpa che hanno prodotto quel terzomondismo che guarda solo ai diritti degli altri, sotto l’egida umanitaria delle Nazioni Unite. Il “proto governo” globale propone e impone la tutela di una miriade di diritti che però hanno dei costi non indifferenti per quella che fu la ricca civiltà occidentale: garantire cibo, cure, casa, istruzione ecc. a milioni di persone è un intento nobile sulla carta, fallito nei fatti, ma soprattutto insostenibile economicamente per i cittadini degli stati occidentali, che lavorano, producono e pagano le tasse per finanziare tutto ciò.
In sintesi: l’Europa un tempo era il continente cristiano, il continente delle Grandi Potenze che esploravano e conquistavano il mondo, oggi invece è il continente post-industriale, post-nazionale, post-cristiano. Relativista e nichilista, all’Europa mancano valori fondanti…
Esattamente, pensiamo anche alle modalità con cui da sempre viene affrontato il dramma della Shoah, fondamentalmente siamo stati tutti abituati fin da piccoli a sentirci in colpa per quel che accadde. Intendiamoci, è fondamentale comprendere quegli orrori e la loro origine per evitare che qualcosa di vagamente simile si possa ripetere, ma non è stato salutare per la nostra civiltà il fatto che i mass media, controllati dai governi, abbiano tentato ad ogni costo di forgiare la coscienza di intere generazioni ingenerando quella profonda necessita di purificarci dal male commesso. Tanto più che oggi gli Ebrei vengono perseguitati in tutto il mondo dagli islamici eppure questo argomento sembra essere un tabù per chi controlla l’informazione.
Federica, noto nelle tue parole la denuncia e la condanna di una certa ipocrisia. Dico bene?
Dici bene. Cercano di farci il lavaggio del cervello facendo leva sui nostri buoni sentimenti, poi ci nascondono la realtà dei fatti. Gli spot delle più svariate organizzazioni mondiali umanitarie che ci mostrano dei poveri bambini di colore, in fin di vita e ricoperti di mosche, fanno leva sulla nostra volontà di lavarci la coscienza per aver provocato il male del mondo, così noi doniamo beni e denaro alle popolazioni africane, oppure forniamo alle associazioni i soldi per comprarli al nostro posto. Purtroppo però in questo modo impediamo che presso quelle popolazioni si sviluppi una qualche forma di economia, cioè un mercato che possa produrre beni per venderli a un qualunque “prezzo X”, perchè quel prezzo non sarà mai competitivo con il “prezzo zero” dei regali umanitari. Molti missionari possono confermare quel che sto dicendo e ci sono fior di studiosi africani che si occupano di questo problema, dello stallo dell’economia africana causato dalla carità occidentale. Solo per citarne uno tanto famoso quanto illuminante, di Dambisa Moyo, “La carità che uccide”, edito da Rizzoli.
Tornando sui nostri passi, parlavi di due diversi approcci mentali. Se uno è quello del senso di colpa, l’altro quale sarebbe?
È quello di chi, pur desideroso di conoscere, è altrettanto rispettoso di sè e della propria autonomia personale e culturale, è curioso del diverso e ne sperimenta l’alterità accogliendo ciò che essa suscita con entusiasmo. Nel rapporto con la diversità, però, si mette in posizione paritaria, senza preconcetti ideologici, consapevole e orgoglioso della propria storia e del proprio stile di vita. Così l’esperienza dell’altro diventa un fattore di consolidamento della propria identità. Insomma, ci sono dei filtri all’accettazione incondizionata e relativistica dell’altro, dei suoi valori e del suo modo di essere. Chi appartiene ad altre culture non viene percepito necessariamente come buono o migliore di sè stessi, e nemmeno come vittima a prescindere: non c’è sudditanza psicologica verso le altre culture. È un atteggiamento che l’Occidente ha tenuto fin da quando gli esploratori percorrevano le vie della seta e portavano in Europa oggetti e scritti orientali. Quante riflessioni filosofiche, quante opere d’arte, quanti romanzi e quante scoperte occidentali sono il frutto di questo incontro? Innumerevoli. Ma l’incontro e il confronto sono utili solo è percepito un confine tra ciò che siamo noi e ciò che è diverso da noi. Negare quest’evidenza equivale al suicidio psicologico e culturale, il suicidio di una civiltà.
Il concetto è chiaro. Queste mentalità sembrano corrispondere alle posizioni di diversi schieramenti politici…
Certo che sì! Sono due modi di accostarsi al diverso in quanto tale, ma anche e soprattutto alle culture che oggi impongono la loro presenza sui nostri territori e che divengono l’argomento delle proposte politiche che maggiormente dividono l’opinione pubblica. Parlo delle proposte politiche sul problema dell’immigrazione, su cui si contrappongono i partiti occidentali. Da un lato vediamo lo schieramento dei partiti multiculturalisti, che sono quelli socialisti o democratici che dir si voglia, mentre dall’altro lato ci sono partiti più identitaristi come i conservatori, i repubblicani, i federalisti. Un discorso a parte poi meriterebbero tutti coloro che sull’ideologia multiculturalista stanno speculando, mettendo in moto meccanismi di accoglienza che come sappiamo sono fonte di ingenti guadagni. Ma questa è un’altra storia…
2 novembre 2016