Se anche di recente e nonostante gli ottimi risultati conseguiti, nonostante – altresì – il numero crescente di “buone amministrazioni” della Lega Nord nei territori più lontani e più diversi, qualcuno si ostina a considerare il successo del modello leghista di governo del territorio come mero frutto di populismo e, in varia misura, di fortuna, è certamente una questione di ignoranza.
Nel senso più autentico di non conoscenza e, dunque, di modesta quando non inesistente consapevolezza del nostro presente. Non me ne vogliano gli attuali amministratori orceani se una giovane (ma audace) militante leghista come me proverà nelle prossime righe a dar conto, non solo a loro, della lectio leghista al governo del territorio. Generalmente la Sinistra attuale è ostile alle politiche finalizzate alla valorizzazione dei caratteri culturali delle Comunità, concentrata com’è sulle garanzie da dare a finti nomadi, clandestini, parassiti autoctoni. È tuttavia doveroso prendere atto e consapevolezza del fatto che solo una Comunità in qualche modo omogenea per cultura e senso di appartenenza potrà porsi nel mondo attivamente, auto-cosciente portatrice delle proprie ricchezze e peculiarità al pari con le altre. Al contrario, privilegiare sempre e comunque le minoranze di qualsiasi tipo, imponendo ai cittadini la “solidarietà obbligatoria” con le tasse e le scelte di spesa pubblica, è una brutale violenza sociale: ghettizza le minoranze, le esclude dal tessuto economico, allontana l’Amministrazione dai suoi elettori contribuendo così irrimediabilmente al processo di disgregazione della socialità cui l’Occidente sta tentando piuttosto di porre freno e rimedio.
Ecco dunque enunciati i postulati ed ecco l’analisi comunitarista, letteralmente socialista, del Presente: dobbiamo evitare ad ogni costo di disciogliere nella globalizzazione, nella crisi economica, nel relativismo culturale la nostra antica e radicata tradizione civica. Pena il caos, cioè lo sfarinarsi di una comunità territoriale, che vede pregiudicate le ragioni della sua socialità, vale a dire dello stare insieme… E questa comunità potrebbe essere la nostra. Non si tratta di chiudersi a riccio nei gretti e ottusi particolarismi territoriali; si tratta piuttosto di recuperare le ragioni della coesione sociale per fronteggiare insieme le nuove dinamiche del mondo globalizzato. E cercare di non soccombere. L’unico rimedio alla disgregazione della socialità che regge le comunità territoriali si chiama federalismo. Di fronte alla perdita da parte delle Comunità della voglia di sopravvivere, di fronte al pessimismo generazionale, la cura è una sola e si chiama federalismo, per ricondurre la democrazia alla sua dimensione territoriale.
Mi si chiederà come possono gli amministratori locali intervenire nell’elaborazione di un vero federalismo istituzionale. Non si chiede loro questo. Se il federalismo è prima di tutto una questione di cultura politica e di mentalità politica (cioè forma mentis), allora i politici locali devono cominciare a pensare local e agire local, secondo le numerose possibilità offerte oggi dalle Leggi dello Stato e dalle Leggi Regionali: attraverso gli esperimenti di sicurezza partecipata; di welfare decentrato, associato o cooperativo; di promozione della lingua e della cultura locale e tradizionale; di riappropriazione della toponomastica sventrata dal nazionalismo fascista e dal nichilismo comunista. In questo senso devono essere lette e interpretate le positive gestioni amministrative leghiste, così abbondanti anche nel Bresciano.
Affinché non si ravvisi in questo mio intervento una mera lettura disinteressata della società, ma si comprenda appieno che il Comunitarismo mira ad un concreto e proficuo governo del territorio, voglio riportare almeno un esempio di come questo approccio avrebbe potuto far luce su molte tematiche di stretta attualità orceana: la costruzione di un nuovo e più funzionale oratorio si sarebbe inserita in un progetto urbanistico di grande respiro, volto a valorizzare quell’antica via per Cremona che oggi è certamente, con le scuole e i villaggi residenziali, uno dei luoghi più adatti a completare il progetto di un “grande centro cittadino”, a contrappeso dei pur necessari poli commerciali situati all’esterno dell’abitato. Il nuovo oratorio, in luogo dell’ormai inutilizzabile “campo sportivo” avrebbe dato la possibilità a centinaia di ragazzi di frequentare strutture ricreative direttamente accessibili dalla scuola elementare e dalla ciclabile che arriva dalle scuole medie.
La vitalità dei luoghi della socialità, la pratica di attività sportiva a livello amatoriale (attualmente impossibile vista la distanza del polo sportivo del Palazzetto dello Sport), la socializzazione al di fuori dell’ambiente scolastico, l’associazionismo sportivo, i tornei sono tutti motori di coesione sociale, coesione che Orzinuovi sta – ahimè! – smarrendo. La maturazione di una nuova generazione di cittadini orceani, a discapito di modelli globali e commerciali, poteva avvenire in queste strutture. È stata persa una grande opportunità. In conclusione, con i migliori auspici per il nostro futuro locale e globale, voglio citare il federalista Carlo Cattaneo al quale – e con mio profondo dispiacere – tempo fa è stato tolto l’onore di una piazza in Orzinuovi. Il “gran lombardo” che per primo indagò la specificità del civismo padano alpino scrisse nel 1858, a proposito della permanenza nei secoli della vitalità dei Comuni, una frase che dovrebbe riempirci di fiducia in noi stessi e nella Storia: «Ebbene, in tanta confusione, la forza dei municipii, comunque prostrati e conculcati, fu tanta …Era come una selva atterrata che ripullula da sepolte radici».
(PaeseMio Orzinuovi, agosto 2010)